LABORATORIO DIPENDE IRS L'AURORA
LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANCRANICA NEL TRATTAMENTO DELLE DIPENDENZE ( TMS )
"I Sert e le comunità terapeutiche non possono più permettersi di essere da una parte dei cronicari dove mantenere le persone in uno stato di quieta disperazione, e dall'altra quasi totalmente inadeguati alle nuove esigenze di cura, sia per le improprie modalità diagnostiche, che per le obsolete offerte terapeutiche". (G.Serpelloni, Congresso Internazionale Neuroscience of Addiction, Verona 2010). INTRODUZIONE Visto che l'autorevole citazione tira in ballo "le obsolete offerte terapeutiche", è bene subito sottolineare che la stimolazione magnetica transcranica (o TMS) non rappresenta una nuova metodologia. Se vogliamo proprio cercarne la componente innovativa, questa consiste essenzialmente nella sperimentazione della tecnica sui cocainomani compulsivi. Il tentativo di curare la tossicodipendenza attraverso degli impulsi magnetici direzionati in precise aree del cervello, è attualmente in fase di sperimentazione in diverse parti del mondo. L'idea si inscrive nel più generale paradigma neuroscientifico che legge questa grave tipologia di addiction come una malattia con importanti ricadute sia a livello anatomico che funzionale. Una tesi, questa, che si fonda sugli oggettivi riscontri provenienti dalle tecniche di neuroimmagine oggi a nostra disposizione ( risonanza magnetica funzionale, morfometria basata sui voxel, tomografia a emissione di potroni). Gli studi sul campo (N.Volkow, E.Goldstein, Gazzaniga 2005; Bonci 2008), documentano come l'abuso di droghe possa causare delle vere e proprie malformazioni che vanno a compromettere una vasta area del cervello. Ne conseguono alterazioni importanti nella stessa circuitazione neuronale, con conseguenze sulle funzioni cognitive di alto livello (apprendimento, ragionamento, controllo). Un quadro clinico severo, perchè si tratta di un processo tendente alla cronicizzazione recidivante, vista la matrice organica e non psicologica del problema. Alla luce di questo crudo scenario si stanno sperimentando pratiche terapeutiche alternative alla classica comunità terapeutica che promettono risultati più efficaci e risolutivi. Tra tutte un posto importante viene sicuramente occupato dalla TMS applicata ai cocainomani. "E' presto per esserne certi ma potremmo avere tra le mani una delle più importanti scoperte terapeutiche nel campo delle dipendenze, della quale potrebbero beneficiare milioni di persone". L'altisonante dichiarazione è stata pronunciata qualche anno fa da Antonello Bonci, neuropsicofarmacologo italiano di fama internazionale che lavora da tempo negli Stati Uniti. Lo scienziato, direttore del prestigioso National Institute on Drug Abuse (Nida) di Bethesda, è colui che ha messo a punto le basi scientifiche della metodologia. In Italia il professor Luigi Gallimberti, medico e psichiatra padovano, ne sta seguendo dal 2013 la sperimentazione. I numerosi centri aperti recentemente nel nostro Paese, sono il segnale di una richiesta che si fa sempre più consistente. La sperimentazione finora condotta, avrebbe consentito a più del 70 per cento dei cocainomani trattati di uscire dalla dipendenza. Tenuto conto dei bassi costi della strumentazione rispetto all'ammontare delle rette che le Regioni versano alle comunità terapeutiche, è possibile che un domani questa metodologia venga introdotta nel Sistema Sanitario Nazionale. A tutt'oggi infatti non disponiamo di nessuna cura efficace per i cocainomani. E non esiste ancora un farmaco sostitutivo come nel caso del metadone per l'eroina. Quindi, visto che la faccenda ci riguarda molto da vicino, cerchiamo di capirne qualcosa di più. LA STORIA La stimolazione magnetica transcranica, applicata negli Stati Uniti a partire dagli anni Novanta, si basa sul noto principio dell'induzione elettromagnetica (legge di Faraday). Una legge fisica che spiega come la corrente elettrica in uno stimolatore produca un campo magnetico che induce un flusso di corrente nei conduttori vicini ( tessuti umani compresi). Correva l'anno 1935 quando un neurologo italiano, tale Ugo Cerletti da Conegliano Veneto, sperimentò il primo rivoluzionario apparecchio per la terapia elettroconvulsiva (TEC), comunemente nota come elettroshock. Le successive ricerche contribuirono poi a raffinare la macchina e il metodo, diffondendolo in tutto il mondo. La storia dell'elettroshock è tristemente nota in quanto legata ad una pratica coercitiva e violenta praticata nei vecchi manicomi e protrattasi fin quasi alla prima metà degli anni Settanta. Oggi la terapia elettroconvulsiva non è ancora completamente scomparsa, anche se il suo utilizzo è estremamente ridotto. Classificato come intervento chirurgico e confinato in poche strutture autorizzate (in Italia una quindicina circa), viene usato solo in pochissimi casi che si dimostrano totalmente resistenti alla terapia farmacologica. Ma soprattutto, grazie agli sviluppi della tecnologia, la tecnica risulta completamente indolore, visto che il trattamento viene effettuato in anestesia generale. Niente a che vedere insomma con le crude scene di film come "Qualcuno volò sul nido del cuculo" o con i ricordi dei sopravvissuti alla vecchia "manicomializzazione" pre-Basaglia. Negli Stati Uniti, per esempio, l'utilizzo della TEC è ancora molto diffuso, con nuovi apparecchi a funzionamento magnetico estremamente più precisi e definiti. Di conseguenza lo spettro di utilizzo non si limita alle gravi patologie psichiatriche farmacoresistenti, ma si è allargato notevolmente. Come ironicamente affermano alcuni psichiatri americani: "It's like to go to the dentist!". Avvicinare l'elettroshock alla stimolazione magnetica transcranica fa arrabbiare i promotori di quest'ultimo trattamento, che ritengono il paragone improprio e fuori luogo. Nonostante il comune utilizzo dell'elettromagnetismo, la TEC mostra delle caratteristiche molto differenti. Difatti è una metodologia non invasiva di stimolazione del tessuto cerebrale, priva di effetti collaterali e di controindicazioni importanti. Inoltre non necessita di nessuna anestesia, perchè completamente indolore. Una tecnica nata quasi per caso, visto che inizialmente veniva utilizzata per studiare l'attività del cervello attraverso i campi magnetici generati dai suoi circuiti. Successe però che negli anni '90 alcuni sperimentatori cominciassero ad evidenziare dei risultati inaspettati: numerosi pazienti depressi o con disturbi dell'umore ne ricevevano un importante miglioramento. In realtà ancora oggi non sono ben chiari i meccanismi sui quali agisce il trattamento. L'ipotesi più accreditata è che la TEC therapy inneschi una serie di modificazioni neurofisiologiche e neurochimiche nelle aree del cervello malfunzionanti. Sta di fatto che, grazie ai primi positivi risultati, la macchina venne notevolmente perfezionata allargandone l'utilizzo a numerosi disturbi psichiatrici e neurologici. Non più quindi la somministrazione di un singolo impulso magnetico, ma una serie di "treni ripetitivi" di impulsi prodotti in rapida sequenza. Il trattamento è stato approvato dalla Food and Drug Administation americana, che ne ha consentito l'uso per la cura di diversi disturbi quali l'ansia, le forme depressive, il dolore cronico e numerose altre patologie. Intorno al 2012 Bonci e Gallimberti ebbero l'intuizione di poter allargare ulteriormente il target dell'utenza. L'idea era quella di stimolare l'attività neuronale compromessa dei cocainomani, attraverso un campo magnetico ad alta intensità. Inserendo in un neuronavigatore i dati del paziente ottenuti da una risonanza magnetica cerebrale, è possibile individuare con precisione l'area che si intende stimolare. Lo strumento viene poi regolato per stabilire l'intensità necessaria a raggiungere la corteccia. Dopo aver impostato i parametri del dispositivo, si procede con la sessione di elettrostimolazione che dura circa dodici minuti. L'area interessata è la corteccia prefrontale dorsolaterale e la stimolazione standard è di 15 Hz. L'intero ciclo di trattamento è di circa tre mesi con sedute settimanali. Le controindicazioni sono veramente poche, a meno che uno non soffra di epilessia, sia portatore di pacemaker o in stato di gravidanza. Non vengono inoltre trattati gli psichiatrici gravi e le forme di multidipendenza. Il protocollo terapeutico in vigore presso la Casa di Cura di Padova prevede innanzitutto un colloquio approfondito con uno psicologo per raccogliere tutte le informazioni utili. Dopo gli esami diagnostici necessari inizia lo studio personalizzato del caso. Il percorso implica una fase iniziale della durata di cinque giorni in cui il trattamento viene svolto quotidianamente ( è consigliato il ricovero per far fronte al potente craving della cocaina). Generalmente si nota che il paziente già dopo poche sedute inizia a perdere lo stimolo all'uso dello stupefacente. La fase successiva ha una durata di tre mesi con sedute di controllo settimanali. Nei mesi seguenti il paziente resta in contatto con l'equipe che monitora i risultati conseguiti. I costi del trattamento non sono mutuabili e sono interamente a carico dell'utente. Numerose riviste scientifiche specializzate riportano con enfasi i primi favorevoli risultati. Di particolare interesse segnaliamo uno studio pilota su Neuropsichofarmacology che parla con entusiasmo del primo trattamento medico per la dipendenza da cocaina, mettendone in evidenza i follow up positivi. Una parte della comunità scientifica preferisce invece mantenersi più neutrale, se non addirittura scettica. Al momento infatti è ancora presto per cantare vittoria, essendo la sperimentazione in corso ancora insufficiente per considerare la TMS uno strumento terapeutico consolidato. Ma, vista la costante diffusione del metodo, basterà qualche anno per effettuare le opportune verifiche. Solo allora saremmo in grado di capire se vi sarà una duratura remissione dei sintomi oppure se, togliendo una dipendenza, non se ne inneschi un'altra. Nel frattempo cominciamo ad interrogarci senza pregiudizi, certi che la tecnologia applicata alle dipendenze ci riserverà ancora molte sorprese. Il professor Luigi Gallimberti si sottopone ad una seduta di TMS nel suo studio di Padova (12/07/2017) E la mia di storia... Ho conosciuto il professor Gallimberti a Civitanova Marche durante un convegno di presentazione della TMS. Il comune dialetto veneto ha fatto da collante perché si creasse un rapporto che a tutt'oggi coltivo. Ed infatti, su suo invito, mi sono trovato a trascorrere una giornata a Padova nel più prestigioso centro d'Europa che pratica la TMS applicata alla dipendenza da cocaina. La nuova struttura, a pochi passi dal centro, è composta di due unità separate ma situate a breve distanza l'una dall'altra. Nella prima, molto elegante, trovano posto la reception, un'aula convegni e numerosi ambulatori. In fondo, oltre lo studio del professore, vi è una stanza apposita con il macchinario della TMS. A circa cinquecento metri troviamo la "Casa di cura" (viene chiamata così...), nella quale un'intera area è riservata ai pazienti-degenti che si sottopongono al trattamento. Il centro è dotato di una moderna strumentazione con piattaforma informatica, risonanza magnetica funzionale, neuronavigatore e quant'altro. La giovane equipe terapeutica, coordinata dal professor Gallimberti e dal dottor Terraneo, si avvale di medici, psichiatri, psicologi, infermieri ed alcuni volontari e tirocinanti. L'ambiente è nello stesso tempo professionale e accogliente. Si percepisce quell'entusiasmo tipico di chi maneggia una grossa scoperta e attende solo di verificarne i risultati. Sento continuamente smistare telefonate da varie città italiane ed europee che chiedono informazioni ed appuntamenti. Insomma l'ambulatorio di Padova è sotto gli occhi del mondo, collegato a filo diretto con gli Stati Uniti da dove il neurofarmacologo Antonello Bonci segue attentamente le ricerche. Appunto per questa forte componente internazionale, una mattina alla settimana tutto lo staff è impegnato nella lezione di inglese e nelle intense relazioni con l'estero. "Qui siamo tra l'onirico e il fantastico", queste le prime parole con cui vengo accolto da un Gallimberti alquanto entusiasta che mi invita subito a tenere un tono confidenziale e a dargli del tu. La mia visita inizia incontrando la numerosa equipe che, ad un segnale del boss, interrompe velocemente il lavoro per riunirsi nella sala convegni. Mi era stato precedentemente chiesto di illustrare la storia delle comunità terapeutiche a partire dai primi casolari degli anni '70. La finalità dichiarata era quella di far conoscere ai suoi giovani collaboratori quello che, nell'immaginario collettivo, rappresenta ancora il luogo classico del trattamento della tossicodipendenza. Nello stesso tempo però colgo un forte interesse nel promuovere la TMS a noi operatori di comunità, tradizionalmente resistenti alle innovazioni che si collocano fuori dalla residenzialità. Di fatto il centro lavora già con pazienti cocainomani provenienti da comunità terapeutiche della zona o con soggetti che, dopo ripetute esperienze di cura, hanno deciso di tentare con la TMS. Dopo avermi dettagliatamente descritto genesi, funzionamento e scopo del trattamento, passiamo finalmente a vedere la protagonista della giornata: la macchina. E qui subito la prima sorpresa... E' il professore stesso che, comodamente seduto su una poltroncina, si sottopone ad una seduta di dodici minuti. In realtà mi racconta che questa è la sua cinquantaseiesima applicazione. La spiegazione del suo diretto coinvolgimento è duplice. Innanzitutto non è straordinario che anche i ricercatori in una certa misura si sottopongano ai loro esperimenti; in secondo luogo il tutto rientra nel progetto più generale di utilizzo di questa scoperta per finalità non strettamente legate alla cura di una patologia. Da tempo nel mondo si stanno sperimentando nuovi farmaci e terapie inizialmente destinati alla cura di malattie, per mere finalità di potenziamento del corpo e della mente. Basti solo pensare all'utilizzo di farmaci deputati alla cura delle patologie neurodegenerative ed assunti per aumentare la memoria e le capacità cognitive. Infatti, quando gli chiedo i benefici riscontrati dopo tutte queste sedute, me ne elenca una serie sufficiente per avvicinarmi con più simpatia alla macchina: diminuzione della stanchezza, reattività, incremento importante nell'attività intellettuale e lavorativa. Insomma viene voglia di provarla senza dover essere per forza dei cocainomani! A seguire un incontro illustrativo con gli psicologi che si occupano dei colloqui di ingresso e che mi consegnano un protocollo informativo appositamente predisposto. In realtà, essendo un trattamento indolore, non invasivo e privo di effetti collaterali, l'aspetto psicologico si concentra principalmente sul post-terapia. Proseguendo la nostra visita, ci dirigiamo a piedi verso la vicina Casa di Cura. Dopo una breve pausa con merenda, mi accoglie la gentilissima psichiatra del reparto. Ex responsabile di una comunità per doppia diagnosi del Ceis, conserva ben nitidi i ricordi del classico trattamento comunitario. Nella sala d'attesa mi imbatto subito in alcuni ragazzi che, accompagnati dai famigliari, attendono ansiosi il ricovero. Mi spiegherà poi la mia accompagnatrice che il centro richiede sempre la presenza di un "referente affettivo" durante i cinque giorni standard di degenza. Infatti nelle numerose camere singole predisposte è già presente il secondo letto. Approfitto di una improvvisa emergenza della psichiatra per parlare liberamente con i ragazzi. Incredibile: sono uguali ai nostri ospiti delle comunità! Confusi, provocatori, fragili... Mi aspettavo di trovare chissà che tipologia di persone e invece mi ritrovo davanti i soliti ragazzi che incontro ogni giorno. Chiedo a un giovane di Milano perchè è venuto qui e non invece in una comunità terapeutica come ordinariamente si fa. Mi risponde che di comunità ne ha già fatte quattro e non ne vuole più sentire parlare. Ma soprattutto che adesso è riuscito finalmente a trovare un lavoro fisso e non può permettersi di lasciarlo per chiudersi due anni in comunità. Qui, se va bene, te la cavi con pochi giorni di ricovero e una seduta settimanale per tre mesi. E poi tutto nel più perfetto anonimato mentre andando al Sert ti comprometti subito e magari ti ritirano anche la patente. Seduto a testa bassa osservo un uomo sulla cinquantina con la valigia a fianco. E' un bancario cocainomane di Genova in trattamento da due mesi, piombato improvvisamente qui perché mi confiderà l'infermiera, ha avuto una ricaduta. Vuole parlare solo con il Professore di cui ha estrema fiducia. Infatti di lì a poco arriverà Gallimberti per portarselo in studio. Eh già perché niente è perfetto ed anche qui le ricadute ci possono stare. Poche, circoscritte e rimediabili, dichiarano... Nel frattempo ritorna la psichiatra, che mi invita ad entrare nell'ambulatorio dove un'attempata signora si sta sottoponendo al trattamento con la TMS. Non è cocainomane, ma dipendente da gioco compulsivo. Qui si trattano, seppur in percentuale ridotta, anche altre tipologie di addiction. Visto che l'area del cervello deputata alle dipendenze è la medesima, è sufficiente correggere leggermente il tiro con il neuronavigatore per centrare l'obiettivo. Chiedo che succede poi durante i giorni del ricovero, perché non credo sia possibile che un cocainomane compulsivo attenda tranquillo sul lettino i tempi standard del trattamento! La psichiatra sorride e mi dice che la so lunga... Ebbene sì, anche qui (per fortuna...) succedono i casini. Anche perché il posto è aperto, sicuramente più delle nostre comunità. E con un via vai notevole di persone che frequentano quotidianamente gli altri reparti della Casa di Cura. Tuttavia l'aspetto del controllo non è una questione prioritaria: ad ognuno le proprie responsabilità. Qui si paga di tasca propria e bisogna fare in modo che i propri soldi siano spesi bene. Una ricaduta costa anche in termini economici, perchè implica un aumento delle sedute e dei costi collaterali. Da quello che emerge finora gli esiti negativi sembrano essere comunque molto circoscritti e governabili. Per far fronte agli inevitabili sintomi astinenziali l'uso degli psicofarmaci di sostegno è previsto e protocollato. Durante e dopo il trattamento i medici approntano una terapia farmacologica personalizzata che il paziente si riporterà poi a casa. Addirittura per qualche cocainomane più refrattario, che tende poi a virare su altri additivi (per esempio l'alcol), viene prescritto un farmaco antagonista tipo l'alcover. Del resto siamo all'interno di una fase sperimentale, nella quale si punta alla presa in carico del maggior numero di pazienti possibile. E' presumibile che in tempi brevi potremmo disporre di dati più consistenti per poter esprimere un parere attendibile. Nel frattempo alcune comunità terapeutiche si stanno già attrezzando offrendo esternamente e a pagamento questa ulteriore possibilità di cura. Nelle Marche la clinica "Villa Silvia" di Senigallia e a Fermo la comunità terapeutica "la Speranza" (tramite un ambulatorio esterno), stanno già implementando il trattamento con la TEC. ALCUNE DOMANDE... Ovviamente l'approccio con questa particolare metodologia, arricchito dalla visita sul posto, non può non scatenare dubbi e interrogativi. Per esempio: Che ne sarà di un cocainomane velocemente svuotato della sua compulsione? E' possibile ridurre un fenomeno complesso come la tossicodipendenza alla lettura di una risonanza magnetica funzionale? Il possibile spostamento su altre forme di dipendenza (per esempio sull'alcol) si presenta frequentemente? E se sì, come viene letto? Come si spiega il fatto che in realtà non sappiamo ancora esattamente in che modo la TMS produca dei benefici? L'aspetto del post-trattamento necessita di essere ulteriormente approfondito. Si sta pensando di documentare anche le eventuali modificazioni neurochimiche che potrebbero avvenire dopo la cura? Da un punto di vista legale come si configura la TMS? E' sufficiente il benestare del Comitato Etico Nazionale? Nel senso che il macchinario è brevettato, ma il suo utilizzo per la cura della dipendenza ancora non è stato regolamentato. Dovesse insorgere un problema, chi risponde? Come possono interagire comunità residenziali e TMS? Visto che il dibattito sul follow up relativo alle dipendenze è tuttora aperto, quali sono i criteri adottati nello specifico? Perchè tanta resistenza nel trattare gli eroinomani? E' solo per la presenza arginante del metadone o sono subentrati altri problemi? Per non dilungarmi troppo rimando queste questioni (che ho in parte discusso con Gallimberti), ad un eventuale approfondimento con coloro che sono interessati. Così come si potrebbe pensare ad organizzare una visita al centro di Padova per porre direttamente i nostri quesiti al principale artefice della cura. Per quanto riguarda invece l'aspetto più strettamente psicologico, basti qui sottolineare che il professor Gallimberti ha già provveduto a coinvolgere un gruppo di psicoterapeuti italiani e stranieri interessati a lavorare sui pazienti sottoposti alla TMS. Il 6 maggio scorso a Padova si sono riuniti a convegno costituendo un gruppo di lavoro che ha già prodotto del materiale in corso di pubblicazione. Il prossimo evento previsto per l'11 novembre, sarà invece a Milano, dove è stato recentemente aperto il nuovo ambulatorio "Gallimberti-Bonci". Il seminario avrà come tema: "Dipendenza da cocaina: dalla modificazione dei pattern cerebrali alla psicoterapia psicoanalitica" e come focus lo studio dei cambiamenti del cervello e della mente dopo la TMS. Buon futuro a tutti! per il laboratorio DIPENDE Alberto Genovese
mi pare un po'
RispondiEliminaun po' che?
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